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MURICEDDU
forse, chissà, l'età delle parole è finita per sempre

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MURICEDDU
forse, chissà, l’età delle parole è finita per sempre*


testo e regia: Margherita Ortolani
con: Margherita Ortolani
aiuto regia: Dario Muratore
doppio in figura/marionetta senza fili: Tania Giordano
allestimento scenico: Vito Bartucca
musiche: Roberto Cammarata
luci: Vito Bartucca/ Dario Muratore
produzione: BLITZ con Babel crew
con il sostegno di Spazio Franco, Piccolo Teatro Patafisico
In collaborazione con Latitudini Rete siciliana di drammaturgia contemporanea
Fotografie di: Nayeli Salas

*“forse, chissà, l’età delle parole, è finita per sempre” è una citazione della poetessa Antonia Pozzi
(da una lettera a Vittorio Sereni, Pasturo, 13 agosto 1935)

 


Muriceddu è il piccolo muro dove si sceglie di sedersi per guardare scorrere la vita. Il punto sempre allo stesso punto da cui sembra che il paesaggio non cambi, mentre miliardi di cose attorno brulicano e si trasformano. Muriceddu è un intarsio vocale, un tessuto scenico dove le parole sono personaggi minimi che scompongono e ricompongono la storia di una perdita, (forse) una storia come tante. Violenza e sopraffazione, la piaga dell’usura, il dolore per la morte di un uomo attraversa le voci delle donne che lo hanno accompagnato, perduto, dimenticato. Troviamo così la Vecchia e la Secca, la figlia e la sposa. Muriceddu è la storia di molte voci, o di una voce che prende molte forme, una dichiarazione d’amore per ciò che è al limite tra l’esserci e l’essere perduto per sempre.

 


Note di regia
Con questo lavoro desideravo attraversare la fragilità: della vecchiaia, del dimenticare (o del non dimenticare mai abbastanza), della paura di perdere chi amiamo, la fragilità del dire e del rappresentare. Ma in questo lavoro c’è anche il desiderio di non rinunciare alla possibilità che dà il
teatro di ritracciare di ogni fragilità la forza e la poesia.
Il muriceddu è un punto di osservazione “minore” delle cose del mondo e della vita, ma è anche un punto di tensione tra il guardare e l’essere guardati, tra l’alzarsi e decidere di fare parte del gioco, oppure lo scegliere di restare seduti. Il testo parte da una composizione ritmica, in cui la parola, insieme alla musica, è protagonista materica. La composizione musicale nasce dal fiato ritmico del verso per cogliere il flusso di energia che palpita nell’azione e reinserirlo nella partitura fisica e vocale.
Il sottotitolo «forse, chissà, l’età delle parole è finita per sempre», è una frase della giovane poetessa Antonia Pozzi, morta suicida nel 1938. Nel “forse” iniziale, è racchiusa la vera domanda del lavoro: sarò in grado? sarò in grado ancora? sarò in grado di perimetrare, di definire attraverso le
parole? saprò resistere? e fino a quando? e fino a dove?
Una linea al femminile scorre sotterranea lungo tutto il testo, nelle fonti di ispirazione, nel posizionamento, nelle visioni stesse, nella qualità della vibrazione. In scena un alter-ego, una marionetta/feticcio che rappresenta l’altra faccia di questa storia: la faccia di Secca, la parte in-vita prosciugata dalla vita. Questo doppio in figura è una marionetta non mossa da fili, ma che si anima drammaturgicamente con il divenire dell’azione scenica. La marionetta è opera di Tania Giordano, scenografa della Compagnia Figli d’Arte Cuticchio, che ha composto la figura utilizzando elementi provenienti da un ambiente domestico, intimo e quotidiano. L’interazione con la marionetta dona al lavoro una dimensione di cura, ma anche di fragilità, verso il miracolo dell’incanto che è, in scena, l’apparire della vita. Un incanto conosciuto sin da bambini e il cui segreto vorrei riuscire a catturare.

Rassegna stampa

Leggi qui la recensione di Tiziana Bonsignore su Teatro e Critica.

Lo spettacolo è stato annoverato da Teatro e Critica tra gli spettacoli da rivedere nel 2024.

Ascolta qui l'intervista a Margerita Ortolani di Maria Genovese per Radio Frammenti.

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